Suzie Templeton

Suzie Templeton si interessa all’animazione fin da piccola. “Mio fratello Johnny aveva un Super8 e lo usavamo per cercare di dare l’impressione che ci fosse un terremoto in giardino” racconta.

“Realizzammo anche gli effetti speciali per un film di guerra, Jaws of Death (1977), ma poi dimenticai tutto sull’animazione”. All’ università infatti, Templeton studia scienze. “Non mi ritenevo sufficientemente brava per creare un’opera che avesse un certo valore artistico e non credo di esserlo ancora oggi” dice. Infatti, solo dopo venticinque anni, il desiderio di dare sfogo alla sua creatività ha la meglio su di lei. “Stavo lavorando come insegnante di inglese in un orfanotrofio in India quando mia madre mi inviò un’immagine di Wallace and Gromit e pensai che mi sarebbe piaciuto utilizzarla per un film animato” racconta. Ottiene un diploma di primo grado in animazione al Surrey Institute of Art and Design e consegue un master al Royal College af Art, in Gran Bretagna.

Le pellicole di Templeton rappresentano il lato oscuro della realtà: atmosfere claustrofobiche e un’intensa caratterizzazione sono gli attributi distintivi della sua opera. I suoi film hanno ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo: Stanley (1999) ha ottenuto 15 premi cinematografici internazionali, Dog (2001) almeno 16, tra cui un BRAFTA.

Ciò nonostante, ha avuto difficoltà a inserirsi nel settore commerciale. “Sembra che la gente trovi il mio lavoro troppo cupo per immaginarne un’applicazione commerciale” spiega. “In un mondo ideale mi piacerebbe continuare a girare film personali, ma non ho ancora scoperto come riuscire a vivere facendo soltanto questo”.

“Per me è fondamentale distillare l’essenza dell’idea e concentrarmi su di essa” continua. “Nei cortometraggi è possibile raccontare quegli episodi apparentemente irrilevanti che in genere vengono dimenticati nei lungometraggi, concentrati sulla narrazione di viaggi eroici”. La forma breve consente di dilatare l’infinitesimale invece di condensare l’immenso”.

Ospitata come un’artista in visita al California Institute of Arts di Los Angeles, Templeton è riluttante a scrivere il suo lavoro in termini di “arte”. “Non è facile, è una parola sovraccarica di connotazioni. I miei non rientrano a pieno titolo nella categoria dei ‘film artistici’ ma non sono neppure la mera illustrazione di una storia. Sono creazioni nate dall’ossessione e dal desiderio, dotate di una vita autonoma che va ben al di là delle mie intenzioni. Senza che io lo voglia, rivelano molto di me e tradiscono la mia fiducia. Forse è inevitabile che questo accada quando si lavora in modo tanto intenso e solitario, condensando un anno di vita in pochi minuti”. Nel 2006 ha ultimato il suo nuovo film, un adattamento di 30 minuti di Peter and Wolf.